In veste di professionista delle lingue attiva nel segmento del lusso, il tema delle eccellenze italiane mi sta particolarmente a cuore. Per questo, da novembre 2017 ho inaugurato sulla Moodboard il filone delle Interviste ad attori del Made in Italy, che possono fornire un punto di vista particolare sull’argomento (per cercare le interviste, selezionare l’omonima categoria a destra nella Moodboard). Dopo la fondatrice di RRARO, Roberta Raeli, una che il Made in Italy lo crea, protagonista di questa nuova intervista è un esperto di comunicazione.

Nel 2011, a Padova, nasce l’agenzia di comunicazione Young Digitals. Una realtà giovane (come indica il nome!) e dinamica, con tanta voglia di fare, che ad oggi conta 50 professionisti, e che si pone come obiettivo quello di aiutare le aziende del Made in Italy a penetrare nei Paesi emergenti e a comunicare in nuovi mercati (Cina, Russia, MENA…). Le competenze legate ai media e al digitale risultano fondamentali, ma la comunicazione non può prescindere da una reale comprensione del destinatario e degli aspetti linguistici e culturali che lo contraddistinguono. Specializzandosi nella comunicazione delle eccellenze del nostro Paese su scala globale (tra i loro clienti figurano Malìparmi, Fay, Recarlo, Stroili, Bulgari Hotels & Resorts…), il team dell’agenzia accoglie ben presto professionisti stranieri esperti di comunicazione digitale, sì, ma soprattutto esperti conoscitori dei mercati di destinazione, da cui provengono.

Marco Pezzano
Come scrive Marco Bettiol nel suo interessantissimo libro Raccontare il Made in Italy “[…] per raccontare il Made in Italy è necessaria una sofisticata capacità di mediazione culturale”. E Young Digitals l’ha capito. Per questo, ho deciso di porre 10 domande a Marco Pezzano, Managing Partner di Young Digitals fino al giugno scorso e attualmente CEO di Obor Consulting, azienda di consulenza e gestione operativa dell’intero processo di internazionalizzazione verso il mercato cinese.
1. Perché nasce Young Digitals, realtà costituita da profili di varie nazionalità?
Abbiamo scelto di inserire figure internazionali nel nostro team perché ci siamo resi conto che le aziende del Made in Italy presenti sui mercati globali con i propri prodotti, in molti casi non sanno come comunicare in quei mercati. Una struttura composta da professionisti che provengono da quei Paesi è essenziale per tradurre – non solo da un punto di vista linguistico – il messaggio del brand perché risulti persuasivo senza snaturare l’essenza del brand stesso.
2. Nell’ambito della vostra esperienza con Young Digitals, quando avete avvertito la reale esigenza di rivolgervi a professionisti madrelingua stranieri?
È accaduto quando abbiamo capito, anche dopo aver viaggiato in cerca di partner locali (ad esempio in Cina), che sviluppare internamente una struttura multiculturale avrebbe permesso a noi e ai nostri clienti di colmare il gap informativo in modo più efficace ed efficiente. Siamo convinti che le risorse interne all’agenzia offrano un vantaggio competitivo enorme alle aziende del Made in Italy che lavorano con noi, perché mettiamo a disposizione la stessa competenza e profondità culturale di un partner in loco unite alla vicinanza geografica e al comune punto di vista italiano.

3. Quali sono stati i criteri di selezione di tali profili?
Teniamo in considerazione la conoscenza delle principali piattaforme digitali in uso nel Paese di origine e una preparazione sui temi della comunicazione pubblicitaria e del branding. Ma anche la voglia di mettersi in gioco in un contesto multiculturale.
4. Avete mai pensato, almeno in una fase iniziale, di rivolgervi a traduttori/interpreti? Perché?
Sì, l’abbiamo pensato, e in realtà abbiamo attivato delle collaborazioni che in qualche caso, magari per progetti speciali, rinnoviamo. La traduzione da una lingua a un’altra è però solo una parte del nostro lavoro, che fonda il proprio valore su una più estesa mediazione culturale.
5. Se Le chiedessi di delineare il profilo ideale di un traduttore/interprete (madrelingua italiano e madrelingua straniero), quali doti e conoscenze risulterebbero imprescindibili?
Nel nostro caso, la conoscenza delle piattaforme digitali del Paese di destinazione della traduzione, utile a comprendere gli usi comunicativi che le regolano. È essenziale, inoltre, una conoscenza lessicale specifica del settore merceologico del cliente, affinché la traduzione risulti precisa ed efficace.

6. Cosa si aspetterebbe dal CV di un traduttore/interprete che volesse unirsi al vostro team?
Probabilmente un’esperienza di vita nel Paese di riferimento per la lingua verso cui traduce, per acquisire sia la familiarità culturale sia la conoscenza dei livelli meno formali della lingua, spesso utili nel contesto social.
7. Come ne valutereste le competenze?
Quando possibile, sfruttando il proofreading di una delle nostre risorse interne. In altri casi, la qualità della traduzione emerge subito (in positivo o in negativo) sui social media, perché il responso del pubblico è immediato e proporzionale alla bontà del copy.
8. Dal punto di vista linguistico, i vostri clienti si rivolgono a voi con richieste particolari? Se sì, quali?
Le richieste, anche se molto spesso sono implicite, riguardano essenzialmente due aspetti: da un lato, la resa in un’altra lingua di un messaggio persuasivo, rispettando le differenze culturali (con conseguente necessità di adattamento); dall’altro, il mantenimento della coerenza con cui il brand si presenta al mondo, per evitare che nel processo di traduzione ne venga snaturata l’essenza.

9. Dal Suo punto di vista, quali sono gli aspetti da valorizzare nella comunicazione del Made in Italy?
Lo storytelling che è intrinseco nel processo produttivo della maggior parte dei prodotti, dalla moda al vino al gioiello, l’altissimo standard qualitativo che caratterizza il Made in Italy, il sapere artigiano, la lunga tradizione manifatturiera del nostro Paese sono elementi chiave su cui è necessario fare cultura, partendo anche da una traduzione accurata.
10. Qual è stata la sfida più interessante che avete deciso di raccogliere?
Maggiore è la distanza culturale che separa un brand dal suo bacino potenziale di acquirenti, più stimolante e complesso è il nostro ruolo. La Cina, ad esempio, rappresenta un mercato molto interessante in termini di numeri ma molto lontano culturalmente. Proprio per questo, tutti i progetti che riguardano questo Paese rappresentano sfide di lungo periodo, il cui obiettivo è quello di tradurre – non solo linguisticamente, ma anche culturalmente – il valore e la storia di un brand Made in Italy in un mercato che ha categorie mentali radicalmente diverse dalle nostre.
Sara Radaelli