La seconda edizione del seminario “Tradurre il lusso. Teoria e pratica di un sogno” (brochure sotto, scaricabile qui) è alle porte e, dato che i posti disponibili sono andati esauriti in breve tempo, mi sono resa conto che l’universo del lusso esercita su molti di noi un fascino intramontabile e, per alcuni, rappresenta addirittura un’opportunità professionale. Quindi, perché non parlare questo mese, senza pretese di esaustività ma con un pizzico di ironia, del linguaggio con cui il lusso si fa conoscere e desiderare?

Brochure seminario Tradurre il lusso
Qualche anno fa, in un articolo pubblicato su Vogue Unique dal titolo The Freedom to Be Unique, Fabriano Fabbri – docente di Fenomenologia degli stili, Made in Italy e Tecniche dell’Arte contemporanea all’Università di Bologna e direttore della Laurea Magistrale in Moda presso il campus di Rimini – parlava dell’apparente paradosso della moda e del lusso che, se da un lato puntano ad essere unici, dall’altro si muovono all’interno di coordinate comuni “che fanno convergere le diversità più disparate verso orizzonti comuni”. Anche nel linguaggio adottato dal lusso si nota questo anelito all’unicità, ingabbiato però in schemi che si ripetono di marchio in marchio, dando vita ad una sorta di linguaggio settoriale quasi “codificato”. Qualche esempio?

Nell’universo del lusso e della moda, gli aggettivi si sprecano: la descrizione è sempre straripante di parole che definiscono le peculiarità di un prodotto o di un brand, che spesso è “estroso”, “stravagante”, “eccentrico”. Se andiamo a scavare nell’etimologia di questi aggettivi, “setacciandone il significato originario”, come ci esorta Fabbri, scopriamo che queste parole celano un animo inedito e insospettabile. “Estroso” è, letteralmente, colui che è punto dallo “oîstros” greco, ovvero dal tafano, e che poi è invaso da un furor nervoso; “stravagante” è, invece, chi “extra vaga”, chi “cammina al di fuori” di percorsi prestabiliti, chi compie scelte fuori dal comune; “eccentrico” è chi è “senza centro” e quindi libero di dar sfogo alla creatività più sfrenata. Aggettivi, insomma, che calzano a pennello ai marchi e ai prodotti del lusso, che fanno dell’unicità il loro segno distintivo, ma che inevitabilmente spesso si ripetono sempre uguali. Sempre uguali per essere sempre diversi, verrebbe da dire.

Ma quali sono gli stratagemmi linguistici che il lusso utilizza per parlare di sé, per ammaliare e persuadere? Le figure retoriche regnano sovrane, dominano questo territorio incontrastate, arricchendo la comunicazione. Accumulazioni, enumerazioni, anafore, allitterazioni, allusioni, parallelismi, analogie, anglismi, acronimi, antitesi, asindeti, assonanze, climax, comparazioni, enfasi, iperboli, iterazioni, ossimori, prestiti, similitudini, sinestesie, onomatopee, trittologie… Insomma, un linguaggio ricercato che sfiora talvolta quello poetico per comunicare la preziosità e l’eccellenza, anche attraverso meccanismi legati al suono, come il ritmo o l’utilizzo di particolari lettere (più o meno ripetute) che veicolano significati diversi: in questo caso, le ultime due figure retoriche citate, onomatopee e trittologie, risultano molto utili.

Le onomatopee (qui un interessante e recente approfondimento dell’Accademia della Crusca) rientrano nel concetto più generale di fonosimbolismo, molto caro al linguaggio del lusso, in cui ad ogni lettera dell’alfabeto, in base all’articolazione necessaria a produrla, corrisponderebbe una sensazione (e, quindi, un messaggio) che il nostro cervello percepirebbe attraverso il suono (che, in sintesi, genererebbe un significato). Tra le vocali, per esempio, la A è associata all’apertura, all’ampiezza, la E alla rassicurazione, la I alla chiarezza, la O alla rotondità e ad espressioni di meraviglia, la U alla gravità e alla cupezza. Un altro esempio: le consonanti fricative (F, V, S e Z), che si possono pronunciare all’infinito senza interruzioni perché generate da una frizione, comunicano un senso di leggiadria, leggerezza, morbidezza, un fluire continuo e piacevole associato spesso nel settore della bellezza all’applicazione di creme o simili (quante volte avete sentito parlare di “sensazione di benessere”? Avete mai contato le fricative contenute? E il numero di E presenti che comunicano rassicurazione?). Oppure, le consonanti dal suono secco (G, C, R) evocano una sensazione di durezza. Qui trovate un gioco divertente sull’argomento, per riflettere su un aspetto fondamentale per chi scrive (o traduce) nel segmento del lusso.

La trittologia, ovvero la predilezione per lo sviluppo di un concetto attraverso tre parole, è una figura retorica che si basa sul ritmo e sul principio secondo cui il tre trasmetterebbe un’idea di completezza, di perfezione, di adeguata descrizione del molteplice. Anch’essa è usatissima nel lusso, in particolare nel settore beauty. Insomma, se per Shakespeare siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni, potremmo concludere che, nell’universo del lusso, i sogni sono fatti anche di parole: quelle giuste, scelte con una cura e un’attenzione maniacale, senza lasciare nulla al caso (neanche il suono).
Sara Radaelli
Le foto dell’articolo sono tratte dal sito pixabay.com, tranne la terza, scattata dall’autrice.