Sebbene il concetto di transcreation abbia a che fare con la traduzione, a volte persino i traduttori hanno difficoltà a individuarne l’esatto significato o a capire di cosa si tratti nel concreto. In questo articolo, addetti ai lavori o curiosi della materia troverete finalmente le risposte che cercate. Come già nell’articolo di gennaio sulla comunicazione del Made in Italy, sarà un’intervista a fornirci un punto di vista particolare. Questa volta, quello di Claudia Benetello, collega traduttrice/interprete, giornalista e copywriter che dal 2012 tiene interventi e seminari sulla transcreation.

Claudia Benetello (a dx) e Sara Radaelli (a sx), relatrici alla Giornata del Traduttore 2013 (Pisa, 14/09/13)
1. “Scrivere un testo promozionale (Below The Line) o pubblicitario (Above The Line) per un mercato specifico a partire da un testo sorgente, come se il testo di arrivo fosse nato nella lingua e nella cultura di destinazione”. Questa è la tua definizione di Transcreation. In essa non si accenna al concetto di “creatività”: ci spieghi il motivo?
Sono in molti a ritenere che transcreation sia sinonimo di “traduzione creativa”, e personalmente ho qualche difficoltà ad accettare questa posizione. La trovo una definizione ambigua perché non è chiaro se “creativa” si riferisca all’atto traduttivo o all’argomento di cui si traduce. Nel primo caso, “traduzione creativa” presupporrebbe l’esistenza di una traduzione “non creativa”, quindi meccanica e/o letterale, rispetto alla quale la traduzione creativa rivestirebbe un ruolo di maggior prestigio. A mio avviso non è così, perché ogni traduzione – in quanto atto umano – è un atto creativo. Nel secondo caso, “traduzione creativa” sembrerebbe essere in contrapposizione a “traduzione tecnica”: la prima tratterebbe i settori merceologici comunemente percepiti come “creativi” (penso ad esempio alla moda), mentre la seconda si concentrerebbe su domini ritenuti “tecnici” (ad esempio l’informatica o la chimica). Ma come la mettiamo con una scheda prodotto in ambito moda e uno spot televisivo di un’azienda chimica rivolto al grande pubblico? Siamo davvero sicuri che il primo testo sia più “creativo” del secondo solo perché l’argomento è più chic? Per come la vedo io, la creatività non c’entra nulla neanche con il settore merceologico. Se per “creatività” intendiamo la libertà di allontanarsi dal materiale di partenza, non tutti i testi consentono lo stesso livello di creatività, su questo sono d’accordo. Tuttavia, per come la vedo io, la creatività sta alla base di ogni prodotto della mente umana.
2. Qual è il legame tra creatività e transcreation? E tra creatività e traduzione in generale?
Spesso si pensa che fare transcreation significhi dare libero sfogo alla propria creatività. Per quella che è la mia esperienza, fare transcreation significa adattare la propria creatività al messaggio e al tono di voce di un brand, con l’obiettivo di produrre un testo in grado di far presa sul pubblico di destinazione. È una creatività vincolata, e i “paletti” sono quelli indicati nel brief del cliente.

Tutto, Alighiero Boetti 1992-94 (ricamo su tessuto)
3. Dove e quando è nato il concetto di transcreation? Come e quando è stato accolto in Italia?
La prima occorrenza del termine transcreation risale al 1957: il poeta e accademico Purushottama Lal definì in questo modo la sua traduzione dal sanscrito all’inglese di grandi poemi epici indiani, tra cui il Mahābhārata. Pur non fornendo una definizione di transcreation, Lal spiegò che, nel realizzare un’impresa letteraria di tale portata, l’obiettivo era preservare non tanto il sanscrito, quanto piuttosto la tradizione hindu a esso sottesa.
In tempi più recenti diversi accademici si sono occupati di transcreation, ampliandone la portata ad ambiti non letterari; ben pochi, però, identificano la transcreation esclusivamente con l’adattamento di testi pubblicitari e di marketing. A quanto mi consta, il settore pubblicitario italiano ha sempre utilizzato il termine “adattamento”, ma devo ammettere che negli ultimi anni un numero crescente di realtà nostrane (agenzie pubblicitarie, aziende, agenzie di traduzione) ha iniziato a utilizzare il termine transcreation.
4. Che cosa differenzia un transcreator da un traduttore?
Faccio una piccola premessa: non amo molto il termine transcreator. La transcreation è un servizio ibrido, a metà strada tra traduzione e copywriting. Fino a una ventina di anni fa, la transcreation pubblicitaria veniva svolta quasi esclusivamente da copywriter; solo successivamente hanno cominciato ad occuparsene anche i traduttori con competenze di copywriting. Usare il termine transcreator, secondo me, sembra sottintendere che esista una terza figura professionale, diversa da quella del copywriter e da quella del traduttore, mentre non è così.
Ciò detto, ritengo che la differenza tra transcreator e traduttore risieda principalmente nelle competenze, e la transcreation a mio avviso ne richiede quattro. In primo luogo una competenza linguistica: il transcreator riceve un testo scritto nella lingua di partenza e deve decodificarlo per poi adattarlo nella lingua d’arrivo. In secondo luogo, una competenza di copywriting: il testo che il transcreator produce deve avere lo stesso impatto dell’originale. Perché questo avvenga, a volte si trova a rielaborare in modo sostanziale il testo sorgente, arrivando a creare un nuovo originale che non presenta nessuna somiglianza con il testo di partenza… e senza competenze di scrittura pubblicitaria è difficile che riesca a farlo. In terzo luogo, il transcreator possiede una spiccata sensibilità culturale: conosce perfettamente la cultura di arrivo, molto spesso ne è immerso (alcuni clienti richiedono espressamente che il transcreator viva nel paese della lingua di destinazione), quindi sa cosa “funziona” e cosa invece non è appropriato per la cultura target. Infine il transcreator ha una profonda comprensione del mercato locale: deve produrre un testo in grado di esprimere l’unicità di un brand, evitando di utilizzare concetti o verbalizzazioni simili a quelle già in uso presso altri brand. In altre parole, il transcreator è ¼ traduttore, ¼ copywriter, ¼ “antropologo culturale” (le virgolette sono d’obbligo) e ¼ marketer.

Le 4 anime del transcreator: ¼ traduttore, ¼ copywriter, ¼ “antropologo culturale” e ¼ marketer
5. Le due figure possono convivere nella stessa persona? Se sì, quali sono vantaggi e svantaggi di una “doppia” professione?
Esistono traduttori che si occupano anche di transcreation, così come esistono copywriter che si occupano anche di traduzione. Sinceramente non vedo svantaggi particolari, anzi: possedere competenze diverse non può che rappresentare un valore aggiunto.
Tieni anche presente che, mentre per me la transcreation riguarda tutti i testi dalla chiara finalità persuasiva, alcuni committenti fanno ricadere nell’ambito della transcreation solo i testi pubblicitari in senso stretto, cioè il cosiddetto above the line (spot TV, spot radio, affissioni, pubblicità su carta stampata), mentre i testi di marketing li considerano oggetto di traduzione. E affidano transcreation e traduzione alla stessa persona.
6. Il transcreator PUÒ o DEVE avere specializzazioni particolari?
A mio avviso, può. Finché restiamo nell’above the line, secondo me non sono necessarie specializzazioni particolari: si tratta di testi volti a promuovere un determinato prodotto o servizio presso il grande pubblico. Non escludo che in certi ambiti del below the line (penso a una brochure B2B) sia necessario essere specializzati in un determinato settore per poter offrire un servizio di qualità. Tuttavia, se vogliamo generalizzare, direi che la transcreation è per eccellenza l’ambito in cui la conoscenza del settore merceologico e la padronanza di un linguaggio specialistico contano ben poco rispetto alla capacità di suscitare reazioni ed emozioni attraverso la scrittura.
7. La Moodboard SRTraduzioni è legata a filo doppio al segmento del lusso, del quale mi occupo. E il lusso potremmo dire che, per certi versi, vive di transcreation. Credi che la transcreation in questo segmento di mercato assuma caratteristiche particolari?
Per quella che è la mia esperienza in questo segmento merceologico, direi di no. Ogni brand, in qualsiasi ambito, ha la propria personalità e il proprio tono di voce, e chi si occupa di transcreation deve riuscire a farli emergere. A mio avviso questo è l’aspetto più difficile del lavoro.

Ogni brand, in qualsiasi ambito, ha la propria personalità e il proprio tono di voce, e chi si occupa di transcreation deve riuscire a farli emergere.
8. Da un paio d’anni il concetto di Made in Italy è tornato alla ribalta portando con sé una nuova consapevolezza: l’Italia si sta rendendo conto che in questo valore è racchiusa tutta la sua forza. Il Made in Italy ha, quindi, un crescente bisogno di storyteller che lo sappiano raccontare. Non trovi che il transcreator possa ricoprire anche questa funzione?
Lo storyteller crea testi nella propria lingua madre, quindi è un copywriter. D’altro canto, se il Made in Italy è un brand e il transcreator è un professionista in grado di dargli voce attraverso le parole, raccontandone la storia e suscitando emozioni nel lettore, il salto da transcreator a copywriter può essere breve. Non è un caso che nei paesi di lingua inglese si tenda a definire copywriter sia chi si occupa di scrittura di testi pubblicitari ex novo (origination), sia chi si occupa dell’adattamento di tali testi da una lingua all’altra (transcreation). Di fatto però sono due ruoli diversi e non è detto che un transcreator sia anche un copywriter.
9. Nella tua esperienza “sul campo”, il cliente che beneficia di un servizio di transcreation è cosciente di quello di cui ha bisogno e lo richiede espressamente oppure esprime un’esigenza a cui sarà il transcreator a dare un nome?
Non sempre il cliente utilizza il termine “transcreation”, ma sa perfettamente cosa gli serve: un testo che faccia presa sul pubblico di destinazione, che abbia la stessa efficacia dell’originale.
10. Cosa consiglieresti a chi desidera dedicarsi professionalmente alla transcreation?
Se chi desidera dedicarsi alla transcreation è traduttore, consiglio di acquisire competenze di copywriting attraverso letture specifiche (i libri di Annamaria Testa sono una miniera d’oro) e corsi (benché l’offerta sia molto ampia, purtroppo le proposte formative più valide sono molto costose e/o a tempo pieno). Se invece chi desidera dedicarsi alla transcreation è copywriter, immagino che l’esigenza principale sia quella di migliorare la comprensione della lingua e della cultura di partenza: in tal caso consiglierei di leggere molto (qualsiasi cosa: narrativa, blog, post dei social) e guardare film e serie TV in lingua originale.
Profilo LinkedIn di Claudia Benetello
Per approfondire il tema della transcreation, qui trovate un articolo di Claudia (in inglese) apparso sul Journal of Specialised Translation, il full paper dell’intervento che ha tenuto a Londra nel 2016 e che trovate qui.
Sara Radaelli